“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

lunedì 26 settembre 2011

Nulla da vedere


Nulla da vedere

… Benedetto sia il nulla. D’ora in poi ciò che possiedo dovrà essere legato soltanto alla fotografia – il resto – anche le cose che amo, cose concrete – le condurrò attraverso una metamorfosi – da concrete le trasformerò in astratte… e così potrò continuare a possederle per sempre nel cuore.
Tina Modotti


A molte persone è capitato di accostarsi alla Fotografia e di rimanere folgorate.
È capitato a me, tantissimi anni fa ormai. È capitato a molti miei amici. 
È capitato alle splendide persone che ho incontrato nel mio seminario a San Pietroburgo.
Chi, ad un certo punto della propria vita, si avvicina alle problematiche dell’arte, spesso, lo fa poiché comincia a percepire, dolorosamente, dentro e fuori di sé l’effetto di un vuoto. Una manque.
Qualcosa che non c’era prima, e che da quel momento non ci sarà mai più. 
Qualcosa che mancherà per sempre, ma più mancherà, tanto più si cercherà, strenuamente, di evocare, di attribuirgli una dimensione concreta nella realtà e, soprattutto, nella nostra vita.
Una disperata nostalgia delle cose. Questa è la Fotografia. La traccia dolorosa di un oggetto che preme sulla nostra anima. Un’impronta luminosa della Bellezza; del mistero delle cose che esistono, esistono per se stesse, esistono per noi uomini.
Da molti anni giro il mondo parlando di Fotografia, e sempre più spesso mi capita di incontrare persone che parlano la mia stessa lingua. Persone che hanno fatto il mio stesso percorso esistenziale, oltre che estetico. Fratelli nella Fotografia, riconoscibili, ancor prima che dalle loro opere, dai loro occhi. Dal loro particolare modo di guardare. 
È attraverso i loro occhi che io posso continuare il mio viaggio.
Occhi che non possono rinunciare a guardare. Occhi che non possono rinunciare a vedere.
Occhi che si spingono oltre. Dove spesso non c’è nulla da vedere.
Nella Fotografia lo sguardo persegue la sua estinzione: oltrepassa l’oggetto e approda al nulla.
Quel “nulla benedetto” che fonda nell’animo umano la trascendenza, sublima la realtà, mutevole, precaria, in pura forma, principio spirituale.
E il mio viaggio ha trovato la sua ragione nel calore e nell’ospitalità di questi occhi che sanno raccontare piccole storie umane, che sanno guardare con pietà e nostalgia, che sanno ricordare, trattenere nei cuori la bellezza, e restituire la meraviglia di un magico incontro con la luce.
Ognuno di loro ha molto da offrire, il loro percorso è già molto avanti e tra poco non potranno più tornare indietro. Devono continuare ad andare avanti, loro malgrado. Dovranno fare ancora molte fotografie, questo è il destino del fotografo, finché si accorgeranno che le fotografie più belle sono quelle che non sono riusciti a fare…quelle che sono rimaste nei loro occhi. Come sogni al risveglio.

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