“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

martedì 26 ottobre 2010

L'archivio fotografico

donna a Montebello di Bertona



Le fotografie possono essere ricordate più facilmente delle immagini in movimento, perché sono una precisa fetta di tempo anziché un flusso. 
La televisione è un susseguirsi ininterrotto di immagini, ognuna delle quali cancella quella che la precede.
Ogni fotografia è invece un momento privilegiato, trasformato in un piccolo oggetto che possiamo conservare e rivedere.
Susan Sontag 


L’opera fotografica (sia essa una singola fotografia, sia un corpus di immagini che svolgono un tema), si presta a considerazioni di carattere antropologico e sociologico (oltre che estetico), suscitando, anche tra le persone meno addentro alle problematiche dell’arte, un vivo interesse, semplicemente perché ogni fotografia, inevitabilmente, racconta sempre qualcosa della vita dell’uomo, delle cose a lui più vicine, di quel microcosmo quotidiano che, proprio grazie alle peculiarità estetiche della Fotografia, viene proiettato in un orizzonte più vasto: universale.

È evidente che un lavoro fotografico finalizzato ad un archivio si propone come momento fondamentale di una comunità che affida alla memoria e alla preservazione quelle che sono le sue stesse ragioni d’essere: le conoscenze, gli eventi, le tradizioni.

Lo sguardo dell’artista fotografo è soprattutto evocativo, in questo senso è uno sguardo che cerca la complicità del soggetto fotografato, e viene a completarsi con lo sguardo di chi contempla la fotografia, è uno sguardo che suggerisce, che invita a sua volta a guardare e finalmente a vedere

L’archivio fotografico è il luogo in cui questa reciprocità dello sguardo, che è comunicazione, ma soprattutto comunione, mantiene viva l’identità delle persone che vi fanno riferimento e che possono osservare costantemente il proprio vissuto e risalire alle proprie origini. 
Nell’archivio, infatti, è custodita l’esperienza dello sguardo di ognuno, che per mezzo dello sguardo dell’artista, in virtù di questa reciprocità, restituisce in ultima analisi lo sguardo dell’Epoca, e delineando la sua particolare iconografia, ne evoca l’atmosfera.

La costituzione di un archivio fotografico è un’occasione, quindi, per salvaguardare l’umanità che anima i nostri centri minori e che bisogna preservare dall’oblio, ma soprattutto dall’indifferenza generale che caratterizza il nostro tempo.


La ricerca fotografica è finalizzata ad individuare, nel territorio interessato, le valenze, gli archetipi, le Forme della realtà umana e dei luoghi; quel rapporto Uomo-Natura, che definisce il Mondo, e attraverso il quale si attua l’esistenza, la vita dell’uomo, degli animali, delle cose: la Stilleben, quell’aspetto silenzioso dell’esistente che si cristallizza nell’immagine, nella fotografia.
La Fotografia, nell’ambito dei linguaggi visivi, è la disciplina che maggiormente stimola l’osservatore a relazionarsi con il concetto di realtà nelle sue connotazioni spazio-temporali, in questo senso, fra tutte le tecniche artistiche, la Fotografia è quella in grado di restituire in maniera più efficace il Tempo dell’immagine, quella particolare esperienza della memoria per cui, quando osserviamo un’immagine fotografica ci sembra di recuperare per un istante qualcosa di ciò che è passato, permettendo alla nostra sensibilità di percepire l’istanza temporale come fenomeno e immagine.
In una fotografia come nel sogno è possibile “osservare nel presente ciò che è remoto nel tempo e nello spazio”.
Come ogni linguaggio artistico, il linguaggio della Fotografia comprende differenti livelli connotativi; da un primo livello di semplice denotazione dell’oggetto riportato, si può accedere, secondo la sensibilità e la cultura di chi guarda, ai successivi stadi di lettura, tenendo conto di una dinamica percettiva che tende a risalire, attraverso i significati, al significante: all’oggetto.
Questo processo, che è fondamentalmente un processo cognitivo, pone il fruitore dell’immagine fotografica, al pari di chi ha ripreso l’immagine, di fronte all’oggetto che si viene ad imporre come fatto, evento, realtà.
S’instaura, in questo modo, una continuità di presenza che determina una continuità del vissuto, un ponte ideale che riconduce l’uomo alla sua identità storica, ai suoi affetti, alle sue origini.
La Fotografia, tra i linguaggi visivi, è il più adatto a rilevare quelle che sono le connotazioni antropologiche, i significati umani e sociali, che un dato territorio geografico e politico tende ad esprimere.
Attraverso i percorsi dello sguardo, essa scruta il mondo e perviene all’Uomo; si addentra nel paesaggio naturale e definisce un paesaggio antropico, rilevando i motivi di coesione, d’appartenenza, i legami ancestrali, il Genius Loci: la particolare identificazione di una popolazione con il territorio geografico in cui vive e lavora.















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