“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

venerdì 3 dicembre 2010

A mia madre














Mia madre mi ha fatto amare la Fotografia da bambino: mi faceva centinaia di fotografie con la sua Agfa e mi riprendeva con la sua Bolex otto millimetri…Il sabato andavamo dal fotografo e sviluppavamo le pellicole…ero affascinato dallo studio fotografico, dai fondali, dalle lampade…e quel forte odore di iposolfito che impregnava il retrobottega, dove c’era la camera oscura…



La macchinetta fotografica

La Passeggiata di Nervi, nei primi anni Sessanta. Mamma coi capelli cotonati nella primavera luminosa. Il mare, l’azzurro intenso del cielo. Giorni benedetti dalla luce. Poi i ricordi mi si confondono. Urla isteriche e il mio pianto dirotto, mentre tiravo mia madre per i lembi della gonna.
Non sapevo più cosa fare, racconta mamma, urlavi e ti rotolavi per terra come un indemoniato. La gente che affollava la Passeggiata si era raccolta a capannello attorno a noi e chiedeva che cosa avesse quel bambino, perché piangeva con toni di assoluta disperazione. Io stessa non capivo, stavamo guardando una macchina fotografica di quelle piccoline che si diceva usassero gli agenti segreti…e tu improvvisamente ti sei messo a gridare: La voglio! La voglio! Come facevi ogni volta che desideravi un giocattolo. Poi però, non capisco perché, ma hai avuto come una crisi epilettica, e hai cominciato a gridare sempre più forte che volevi quella macchinetta fotografica. Ho provato a tirarti via, ma niente, hai puntato i piedi come un mulo e ti sei buttato per terra scalciando nell’aria come uno scarafaggio rovesciato…mi facevi impressione e cominciavo a vergognarmi per i commenti delle persone accorse numerose. Quel “giocattolo” costava quanto il mio stipendio, ma avevo capito che dovevo comprarlo, e non solo per sottrarmi all’imbarazzo. Con la macchinetta tra le mani ti calmasti e potemmo riprendere la passeggiata.
Qualche ora dopo seduto per terra sul balcone della casa di mia zia a Genova guardavo la macchinetta con estrema concentrazione, era minuscola ma perfettamente funzionante, e si adattava meravigliosamente alle mie piccole mani. Osservavo affascinato quel piccolo oggetto misterioso, e lui guardava me, con il suo occhio meccanico. Non so che cosa mi abbia preso, ma smisi di colpo di fissarlo nell’obiettivo e lo scagliai violentemente di sotto.

















2 commenti: