“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

lunedì 25 ottobre 2010

Diario argentino (1)

ragazzo a Punta Lara, 2002

Mi aveva colpito quel bambino...Stavamo pranzando con gli amici in una churrascheria all’aperto, sul Rio de la Plata, c’era questo bambino che aveva il compito di scacciare i cani randagi che si avvicinavano affamati ai tavoli. Faceva il suo lavoro con molta indolenza, svogliatamente, si avvicinava al cane e, senza convinzione agitava un po’ le mani nell’aria, quasi gli dispiacesse scacciare via quei poveri animali con i quali dopo, quando se ne fossero andati gli avventori, avrebbe giocato. Se ne stava abbracciato a quel palo, dove tornava a dondolarsi ogni volta, dopo aver scacciato qualche cane, osservava noi, osservava tutto, come un marinaio che scrutava l’orizzonte dall’albero di una nave. Era molto bello, di una bellezza inconsapevole, in quel luogo, perfettamente inutile, com’è inutile ogni bellezza, in ogni luogo. Aveva lo sguardo duro, da uomo precoce, ma quel suo ciondolarsi era dolcemente infantile, preumano. Girava e rigirava attorno al palo, talvolta i suoi occhi incrociavano i miei, più spesso si perdevano verso il loro orizzonte. Dalla parte del fiume, il Rio de La Plata, immenso come il mare.

















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