Il pittore Elio Di Blasio, nel suo studio a Spoltore (anni 80) |
Elio
Ho conosciuto Elio al Liceo Artistico, era il mio insegnante di Ornato Disegnato, una terminologia becera per definire le tecniche del disegno e della pittura, com’è becero ogni tentativo da parte della Scuola di trattare le cose dell’arte, artisti si nasce e per chi nasce artista c’è un solo destino. Elio è nato artista per sua sfortuna, ma per nostra fortuna. Per fortuna di tutte quelle persone che ancora sono sensibili alla bellezza.
Elio è stato un insegnante un po’ a modo suo, come ogni vero artista era più propenso ad imparare, ad approfondire la pratica della propria arte: la Pittura, che a cercare inutilmente di insegnarla agli altri.
Ma così facendo, per noi alunni, si è rivelato un grande maieuta. Il modo migliore per trattare di qualcosa, a volte, è non parlarne, affatto, e l’arte non si sottrae a questa regola, poiché come tutte le cose autentiche e necessarie, la cui necessità scaturisce prorompente da una manque, da un’assenza, da un vuoto, da una lacerazione esistenziale, quando trova il terreno adatto radica e fruttifica, indipendentemente da ogni nostra volontà.
Elio non ci ha mai tediato con lezioni sciocche e saccenti, lui non parlava del colore e della materia, delle teorie e delle tecniche. Lui era il colore, la materia: la Pittura.
Il suo corpo mediava la tecnica pittorica e il colore, la sua mano sensibile e forte accarezzava la carta o la tela ruvida. Come se fosse il corpo di una donna. Questa è l’arte, sensualità pura; e questi sono i veri artisti. Essi creano. Non lavorano.
Elio ed io siamo subito diventati amici, nonostante la forte differenza d’età, quarant’anni tondi. Un ragazzo di sedici anni ha ben poco da spartire con un uomo di cinquantasei. Nel nostro caso lo stesso destino, che ci usava come specchi di se stesso.
Per Elio, l’amicizia è parlarsi ogni giorno, frequentarsi con costanza: non capisce chi si fa sentire solo per Natale, e poi si fregia dell’attributo di “amico”.
Elio ha bisogno della “presenza”. Qui finisce la sua storia d’artista e comincia la sua storia di uomo. Dove finisce l’artista è bene che cominci l’uomo. L’artista che si compiace dell’assenza, lascia il campo all’uomo che anela alla presenza. L’uomo non tollera il destino di solitudine proprio dell’artista, e vi si ribella: fondando un principio etico dalla sua esperienza estetica. Questa lotta, tra l’uomo e l’artista, definisce la personalità di Elio. Nel bene e nel male.
Spesso l’artista soccombe di fronte all’uomo, alla sua grande passionalità, alla generosità, alla fragilità, e questo è l’Elio a cui voglio bene, quel padre un po’ impacciato, che avrei voluto anch’io, ma lui, nella sua eterna giovinezza preferisce considerarmi un fratello, un confidente.
Quando prevale l’artista, Elio non c’è più, si assenta con il corpo e la mente. Si fa assenza. Spirito. Trasmigra nella trama delle sue tele, impregna le sue tavole, i suoi intonaci graffiati, la sua carta “spellata”. Lo Scorticato espone i suoi nervi al dolore vivo, il dolore cosmico dell’artista amplifica quel dolore, individuale, dell’uomo.
Allora Elio ha parole d’amore, parla dei suoi colori, il suo rosa, il suo celeste, le sue “terre”. Il pittore è poeta e nomina i suoi colori: A nera, E bianca, I rossa, O blu…Pittura come poesia.
Nel suo studio e difficile muoversi agevolmente, almeno per me che sono anche allergico alla polvere. Le tele, le tavole, le carte, mi assalgono letteralmente ogni volta che vi entro, difficilmente esco da lì senza qualche graffio o striatura di colore sui vestiti, ma lui, che pure ha una stazza considerevole, quando lo vedi all’opera, con spatole e pennelli, sembra quasi un ballerino, tanto si muove con leggerezza. E lì dentro lo vedi finalmente felice.
Elio nella sua sensualità, già da ragazzo mi aveva fatto capire una cosa importantissima: è fondamentale avere un rapporto fisico, di odio e amore, con le proprie opere, Elio afferrava energicamente le sue tele fresche di colore, i suoi disegni, i suoi collage bellissimi, delicati come fiori, con le sue “manacce” senza curarsi di sporcarli o scrostarli, istintivamente consapevole della precarietà, della vanità di ogni fare. Ho ritrovato molti anni dopo, con piacere, lo stesso modo di trattare le proprie stampe in un altro grande artista molto amato da Elio: Mario Giacomelli.
Quest’anno Elio compie ottant’anni, ed io ne faccio quaranta.
Mi viene in mente che sono più di vent’anni che continuiamo a fare sempre gli stessi itinerari, nelle nostre sortite mattutine, sui colli intorno a Pescara, tra Spoltore, Montesilvano Colle e Cappelle.
Noi siamo sempre gli stessi, ma il paesaggio, inevitabilmente è cambiato. E questo ci ferisce profondamente, e c’indigniamo per la speculazione edilizia che è ormai incontenibile. Queste cose ci fanno male, ci mortificano. E ci fa dire, ma allora siamo noi che abbiamo sbagliato tutto?!
Rimettersi in discussione è sempre giusto, ad ogni età, ma io penso che sulle cose fondamentali non ci siamo sbagliati. Elio Di Blasio ha creduto nel suo talento, nel suo amore per la bellezza, per la giustizia e ha operato di conseguenza. La nostra amica Rita Ciprelli sosteneva che non c’è niente di più triste e distruttivo di un artista che non metta al primo posto, nella scala dei valori, dopo i valori morali dell’onestà e della giustizia, l’arte; anche prima della famiglia e dei propri figli.
Questo è il destino dell’artista, questa è la nostra croce.
Elio ha sofferto e soffre, il suo dimorfismo esistenziale. L’uomo e l’artista si fronteggiano.
La scelta etica e la scelta estetica.
Molti suoi vecchi compagni di viaggio non hanno avuto dubbi: ora sono ricchi e famosi.
Elio di Blasio ha scelto l’onestà morale e intellettuale, la giustizia e la coerenza. Ha scelto di essere se stesso.
L’arte, un dono del dio.
Molti anni fa, lo accompagnai a far visita alla madre e mi colpì la tenerezza che questa donna aveva per il figlio, come se fosse ancora un bambino piccolo. Conservava i suoi primi disegni, qualche ritratto, tra i quali un disegno a pastello da un’immagine di Ingrid Bergman giovanissima, paesaggi molto delicati, secondo uno stile figurativo che Elio non avrebbe più utilizzato, sebbene ogni tanto ne senta la nostalgia. Elio sapeva disegnare, mi diceva con orgoglio la mamma, mentre lui non sentiva. E capivo che agli occhi della mamma, lui non era l’artista affermato, ma ancora il bambino che giocava con le matite colorate. L’amore di una madre cerca disperatamente di sottrarre il figliolo al Tempo.
Ma il Tempo fluisce, in ogni caso. E deposita segni come fa Elio.
Quando lo osservo mentre spolvera, felice, la sua polvere di marmo sopra le tele, come un demiurgo, un Padre buono che semina fiducioso, mi commuovo. Quel gesto è il Gesto. Da quel gesto Elio ha tratto la sua vita, con quel gesto lui la restituisce al mondo.
Come ogni artista egli ha donato se stesso.
(2001)
Nessun commento:
Posta un commento