Un’ora di settembre
Camminavo ascoltando musica da una cuffia. Ero giunto al mare. Gli ombrelloni perdevano colore. Due vecchietti passeggiavano approfittando della poca calura. E l’estate che se ne andava mi dava l’impressione di un viaggio misterioso senza ritorno.
I camerieri stanchi, le edicole stracolme di locandine e le commesse di un forno, rilassate dopo l’assalto di Agosto.
Meglio prendere un caffè. Un breve dialogo con un amico di sempre che mi ricorda immancabilmente la serenità dei tempi poveri. Lo sforzo di un grassone che ogni tanto mette la tuta e vergognandosi mi confessa la debolezza per i dolci. Molte donne innaffiavano i balconi. La tristezza dei neri che aumentava perdendo la compicità del mare. La fantasia regalò a loro ville inaccessibili dove i bianchi dovevano andare con affanno a chiedere aiuto.
Così pensavo. Vedevo una nave muoversi con volti.
Una malinconia mi fece percorrere della strada con assenza.
E mentre mi avvicinavo a casa pensavo alla gente vissuta prima di me.
Aprii il portone, il mio corpo mi infastidiva e guardai l’ora. Ero uscito alle nove ed erano le dieci. Qualcuno sopra le scale mi aspetta da tempo ma ancora non riesce a riconoscermi.
Adriano Lapi, da "Gli altri racconti", Edizioni Tracce, 1989
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