“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

domenica 5 dicembre 2010

Adriano

Adriano Lapi



Un mattino di Agosto

Ad un tratto mi ero svegliato, ma ero confuso, non sentivo niente. Dov’ero? Quanto tempo avevo dormito? “Era notte ed è giorno, come sempre” pensai. Un altro pensiero prendeva forza. Ti sei svegliato dopo trent’anni. Non capivo e capivo. La bocca era secca. L’acqua mi dava di nuovo il contatto col corpo. Ma che avevo fatto in trent’anni di sonno? Ho una madre ancora e dei fratelli. Da qualche parte mi hanno collocato. Ma perché non mi hanno svegliato prima? Chi è stato accanto a me? E se fossi rimasto solo? Forse mi hanno cercato e non mi hanno trovato? Ero rimasto nascosto così a lungo e perché? Rimasi intrappolato, pensai, a tredici anni in quella capanna non ritrovando l’uscita. Tutto questo tempo ho impiegato per un flebile sentiero? A momenti ho freddo. Che ci stavo a fare? Perché risvegliarmi proprio ora? Potevo dormire ancora scavalcando la vita e la morte. Sarebbe stata una soluzione meno dolente o forse vile? Avrei visto gente sudata in coda di macchine per arrivare un domani a niente. D’altra parte dovevo capire l’amore che mi risvegliava. Chi l’ha fatto? Chi mi ha chiamato dopo tanto? Una valanga di volti si abbattè nella mente. Mi vergognavo di tanta assenza. Qualcuno, pensai, avrò tradito; qualche altro pensai pure, mi assolverà. E se invece avessero tradito me? Questa riflessione mi creava uno strano tremore misto di angoscia e stupore. Potrei, ma ero di nuovo calmo, andare ad imboccare la via più bella, lasciando per sempre la zavorra dell’effimero. Ho navigato forse per lidi senza sosta e senza tempo da naufrago. Forse il risveglio era il mo porto. Ma chi c’è? Con chi sono? Qualcuno poteva cercarmi in mare e fermarmi. Quale colpa dovevo espiare? Gli attimi vissuti solo, moltiplicati all’infinito dalla solitudine, non avevano pareggiato il conto? O sono un fortunato: i doni me li hanno offerti e li ho distrutti; oppure, pensai anche di essere una vittima come tante che sono state più vittime di me e a tanti altri ancora vissuti solo per l’umiliazione. Accesi una piccola lampada, misi della musica, l’odore del caffè mi catturò e mi ricordai subito di chiamarmi Adriano.


Adriano Lapi, “Gli altri racconti”, Edizioni Tracce, 1989















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