“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

domenica 12 dicembre 2010

L'albero e il cielo







Sul muro della vecchia scuola materna, c’era un grande albero dipinto, con la chioma folta e scura. Mi assorbiva la sua forma, che saliva. Saliva su nel cielo. La maestra ci raccontava di un piccolo fagiolo che seminato germogliava velocemente e cresceva, cresceva fino a toccare il cielo e perdersi tra le nuvole, e lassù, oltre le nuvole, lontano, c’era un castello…e la favola continuava e noi bambini che guardavamo lontano nel cielo, su e ancora su…oltre. 
Il cielo azzurro entrava tutto nei nostri occhi.
I cieli dell’infanzia sono lontani e irraggiungibili, respirano leggeri e, trasognati, vagano e si avvicendano. Ritornano. 
Come bambini gli alberi crescono guardando il cielo…e vanno su, ignari di quello che accade sulla terra.
Sulla terra l’uomo ha negato lo sguardo al cielo, ha costruito città che hanno imprigionato il cielo. Non lo vediamo più. L’uomo adulto ha stabilito che può fare a meno del cielo, come degli alberi.
Nelle città l’occhio fatica a staccarsi da terra per guadagnare il cielo immenso. Esiste un mondo sopra le nostre teste, ignorato, dove tutto è magico, come nelle favole. Alzando gli occhi possiamo accorgerci che non ci sono solo le case, ma anche strane presenze che forse non riconosciamo più. Alberi. Alberi che vivono il mistero di una vita altra. 
L’uomo concepisce a fatica una vita diversa dalla sua, e quando lo fa immagina “extraterrestri”, mostri improbabili, pur di non considerare qualcosa di realmente vicino, che appartiene inscindibilmente alla sua stessa vita.
L’albero sta. Immobile va verso la Luce. Genera un proprio Tempo, forse diverso dal Tempo dell’uomo, e lo partecipa a chi si mette in ascolto, a chi volge lo sguardo e coglie i suoi gesti, la sua parola silenziosa, la sua lingua armoniosa, la sua gioiosa aspirazione al cielo azzurro. Come un bambino.












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