“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

venerdì 25 febbraio 2011

La luce, il cuore, la pietra

Yoko Yamamoto, Scanno



Scanno è un piccolo paese come tanti altri nel cuore dell’Abruzzo arcaico. Eppure Scanno ha una sua unicità. Per cogliere l’intima bellezza di Scanno dobbiamo accedere nelle dimensioni della Luce e della Pietra. Scanno è un paese scritto nella pietra dalla luce. Una scrittura di luce: una fotografia.
In questo piccolo paese, da sempre, le case come gli uomini si rivolgono alla luce, come in ogni altro paese del mondo. Eppure a Scanno si avverte qualcosa di diverso. La percezione di essere costantemente al centro di un mondo fa di questo nucleo abitato un cuore. È suggestivo immaginare che un tempo, gli uomini costruivano le città ispirandosi al proprio cuore, alla sua forma compatta e raccolta; ogni città era edificata ad immagine e somiglianza del cuore umano, e la città era il luogo dove pulsava più forte la vita, come dentro il cuore. Nella pietra di Scanno risuonano gli echi di quest’originario pulsare, i battiti del cuore primordiale, sepolto nelle profondità della terra, che scandisce nel Tempo l’immanenza della nostra vita. Un cuore di tenebra che cerca insistentemente la luce: l’astro del giorno che ad occidente declina, presto, troppo presto, dietro le montagne dell’Appennino.

Chi va a Scanno, spesso, riporta una fotografia. È difficile sottrarsi a questa ritualità, soprattutto per un fotografo. Dagli anni Cinquanta, quando Henri Cartier-Bresson, Giuseppe Moder, Mario Giacomelli, hanno visitato il paese, rilevandone con lo sguardo le valenze più profonde, Scanno è stata bombardata da orde di fotoamatori che, imitando i grandi maestri, invano hanno cercato di approssimare l’anima del luogo, evocarne la bellezza significante: quel sottile mistero dell’ora e dei giorni che, vivificato dalla luce, fa di un luogo qualsiasi la culla del Tempo.
La Fotografia, forse più d’ogni altra cosa, ha reso Scanno famosa nel mondo, tanto da diventare uno dei luoghi più fotografati, al pari di Venezia o della torre Eiffel. L’immagine che n’è stata data, tuttavia, è di sapore oleografico e non corrisponde all’identità profonda della cittadina e del suo territorio; a tal punto che oggi possiamo osservare con un po’ di tristezza come Scanno sia diventata una “città in posa”, e, in effetti, basta recarvisi con in mano una macchina fotografica per capire immediatamente questo concetto. Ogni angolo della città sembra predisposto per essere fotografato, ogni cosa è perfettamente al suo posto che aspetta, cristallizzata come fosse già una fotografia; le persone stesse passeggiano sotto e sopra per le stradine, acconciate nel classico costume locale, compiaciute e disponibili ad essere fotografate dai turisti.
Un’idea deteriore della Fotografia sembra si sia radicata nel paese e nei suoi abitanti, nonostante Cartier-Bresson, Moder e Giacomelli. L’idea corrente e consolidata, di legare alla Fotografia una particolare concezione del turismo, com’è ormai consolidato il terribile binomio “Turismo e Cultura”, o peggio “Cultura e Tempo libero”, dove per cultura è inteso tutto ciò che viene impacchettato ad uso e consumo degli ignari villeggianti: dai fagioli con le cotiche agli affreschi medievali, ma questo è un malcostume diffuso ovunque, che non riguarda solo Scanno.

Scanno nonostante tutto continua a narrarci la sua storia, fatta di luce e di pietra, nonostante le sue adorabili vecchine vestite di nero che ormai fanno tenerezza per la loro dolce incoerenza (che invece è scambiata per coerenza e tradizione). Scanno continua a stupirci con la sua poesia, quando uno sguardo d’amore riesce a penetrare quest’assurda patina oleografica e pone in evidenza le fantasmagorie del quotidiano, della semplice vita d’ogni giorno che diventa improvvisamente metafisica o surreale quando l’occhio visionario del fotografo eleva l’attimo ad eternità, l’immagine ad icona. 

Lo sguardo di Yoko Yamamoto, ha raccolto l’eredità dei maestri e non si è soffermato sui luoghi comuni. Come Giovanni Bucci e Jill Hartley, due fotografi che hanno saputo interpretare la sovresposta umanità di Scanno in tempi recenti, Yoko è riuscita a consegnarci delle visioni che sanno stupire e commuovere.
Nel suo reportage la fotografa giapponese è riuscita ad evocare il divenire proprio delle cose che appartengono al Tempo, all’esistenza. 
Contrariamente ai tanti fotografi che nelle loro incursioni a Scanno hanno infierito senza pietà sui poveri vecchi in costume, riportando le solite trite immagini, Yoko Yamamoto, giunta a Scanno, si è lasciata travolgere dal flusso della vita e dal calore avvolgente dell’umanità e ha trovato una via personale attraverso la luce, un punto di fuga dello sguardo, seguendo la ragazza vestita di bianco che corre nel vicolo o la giovane coppia di sposi: nuove icone della luce, d’insospettabile modernità per un paese che si è identificato per decenni nell’immagine affettuosa, ma ormai logora delle vecchine vestite di nero.
Yoko, con levità orientale, spesso, ha ravvisato nei suoi soggetti la gioia intima, lo stupore d’essere vivo; la felice consapevolezza del proprio esserci, come nel luminoso ritratto della ragazza che si porta le mani al seno. E Scanno è il luogo in cui si perpetua ogni giorno il mistero della presenza e della vita, come accade in ogni altro luogo dell’universo che sappiamo e che non sappiamo. 
Lontano, molto lontano da Scanno la sua vita riluce nelle stampe di Yoko Yamamoto. La luce che ha scritto nella pietra la storia di questo meraviglioso paese, ha impresso nella materia sensibile della pellicola i volti della sua gente. E nel cuore di Yoko ogni volto è una viva presenza di luce.


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