“C’è il senso di una pienezza ed intensità nella formazione delle immagini di Paolo Dell’Elce, c’è un bisogno espressivo di significati dove ha voce il silenzio che continua anche dopo l’ultimo segno, dopo l’ultima luce, l’ultimo albero grigio.

Il soggetto innocente sente lo sguardo su di sé, si presta alla messa in scena, entra nel tessuto del linguaggio, diventa costruzione visiva, luogo dell’evocazione, suono ed eco di una tensione interiore vivificata, che appartiene alla ragione stessa della sua vita, per dare durata all’indicibile, all’evento poetico che investe la sua coscienza portando la tensione verso la totalità.”

Mario Giacomelli

martedì 1 marzo 2011

La città s'immagina - Luoghi e Icone








La città s'immagina
Pescara 2005

un'iniziativa del Museo Moder
a cura di Paolo Dell'Elce e Franco Sergente

fotografie di
Giovanni Bucci
Paolo Dell'Elce
Armando Di Antonio
Attilio Gavini
Jill Hartley
Giuseppe Moder
Ludwig Karl Ratschiller
Elena Tolstykh
Dino Viani





La città lontana




La questione della città sarebbe dunque un modello di discorso eccessivo? Una ipersemiotizzazione? Un ingorgo, non di veicoli, né di merci, bensì di volontà significanti?”.
 Jean-Luc Nancy, nel suo breve saggio La città lontana, pone l’accento su una problematica particolarmente interessante quanto urgente: la città come sistema semantico complesso, pletora di segni. Sistema che è sul procinto di esplodere, dove i segni, espressioni di “volontà significanti”, rischiano di perdere il loro statuto linguistico, forse proprio perché vincolati ad una volontà eccessivamente significante.
Se la città, come ogni cosa, è rappresentazione, essa è mera rappresentazione di un potere economico espressione della classe dominante.
Un potere che s’impone anche attraverso l’utilizzo di forme e modelli iconici consolidati come i cartelloni pubblicitari, le insegne, i manifesti, gli striscioni, le vetrine dei negozi, e così via fino agli innumerevoli oggetti che definiscono il cosiddetto “arredo urbano”.
La città è così imbrigliata in una rete di connotazioni, che impone una visibilità indotta e sancisce quella percezione convenzionale che impedisce l’accesso alla dimensione pura del Luogo. È in questo senso che, a mio avviso, la città è lontana, lontana dalla percezione dello spazio che diventa Luogo, grazie alla cura e all’amore dell’uomo. Lontana nella misura in cui l’uomo si è allontanato da essa.

Alla città come rappresentazione del potere economico si vuole opporre la città come testimonianza del “non potere”; il “non potere” della Bellezza, il “non potere” dell’Arte e dell’artista, espressione vivente, incarnazione della libertà che crea: la libertà forse utopica, ideale dello sguardo. Lo sguardo fondante dell’artista, che genera e rimanda alla sua opera quale tópos, luogo significante, ideale e reale allo stesso tempo.
La città, scrive Nancy, è “come un cielo capovolto, rovesciato per terra, un altro universo che si sta spaziando o che sta pulsando”, luogo perennemente in trasformazione, stato nascente, che custodisce il principio vitale, la vibrazione originaria mediata dalla natura all’uomo e, da questi, estesa alle cose umane, al mondo.
Lo sguardo dell’artista percepisce questa “oscillazione”, questa fibrillazione della Forma nel Tempo e nello Spazio, come uno strappo, una lacerazione dolorosa. La città batte come un “cuore agitato” prossimo all’infarto, corre freneticamente “verso un altro essere o un’altra essenza, un altro valore, e anche un altro nome, conurbazione, megalopoli. Un giorno dimenticherà persino di chiamarsi città”.
L’artista allora custodirà il nome e l’anima della Polis, e la sua opera, il suo intervento serviranno ancora una volta a far sì che non si perda il contatto profondo con le origini e che improbabili città non sorgano “decise e disegnate a partire dal nulla”.

                                                                              Paolo Dell'Elce



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